Tunisia tra il consolidamento economico e la protezione dei diritti umani
La Tunisia probabilmente è l’unico paese che è riuscito a scrollarsi di dosso la dittatura durante la primavera araba di otto anni fa. Tuttavia ancora affronta numerose sfide, specialmente nel consolidamento economico e nella protezione dei diritti umani. Il processo di democratizzazione in Tunisia, come la nuova Costituzione e lo svolgimento di elezioni libere sono stati passi importanti. Comunque, nonostante le differenze sostanziali tra loro, i due partiti più influenti (Ennahda, il partito di ispirazione islamica e il blocco secolare Nida Tounes) sono costretti a comporre una coalizione di governo che rende fragile la stabilità politica del paese. Il governo rimane traballante e incline alle tensioni, la mancanza di coesione ideologica ostacola un processo decisionale efficace e mette a rischio le riforme più rilevanti.
L’altissimo livello di disoccupazione e il debito pubblico, oltre che le forti disparità regionali in termini di investimenti, sviluppo e accesso ai servizi di base, sono i problemi più importanti che provocano un deperimento dello status sociale.
L'economia tunisina attraversa tempi difficili. Il debito pubblico è aumentato drasticamente negli ultimi anni, raggiungendo circa il 70% del PIL, mentre si sono abbassate le riserve valutarie in moneta straniera (valuta forte).
La crescita è aumentata leggermente negli ultimi due anni, ma l'inflazione è cresciuta notevolmente: oltre l'8% di colpo nel 2018. L’attività economica è concentrata nelle zone costiere, lasciando un’alta disoccupazione e poche opportunità a coloro che vivono nelle povere regioni interne.
Sono stati congelati i salari del settore pubblico, colpendo oltre 650 mila dipendenti statali. Sono aumentate le tasse su beni come telefonia, automobili e internet. A risentire dei rincari è stato anche il settore alimentare. Ciò ha sollevato forti proteste e ondate di crescente tensione, portando allo sciopero generale di gennaio 2019 che ha paralizzato anche i trasporti. Sono state registrate oltre 8 mila manifestazioni all'anno in Tunisia.
La Tunisia ha ricevuto un finanziamento di 2,9 miliardi di dollari dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) nel 2016 in cambio di una politica di riduzione del cronico deficit del Paese.
La crescente inflazione, la riduzione dei salari e i sussidi su alcuni prodotti come olio, benzina e farina, raccomandati dal FMI per ridurre la spesa pubblica, stanno peggiorando la situazione economica di molti tunisini.
I tentativi di riforma sono stati ostacolati da interessi radicati: un'élite istituzionale che a volte è corrotta e i così detti “padroni della economia informale” che dominano le regioni remote.
I critici dicono che l'austerità e le misure richieste dalle istituzioni finanziarie internazionali (FMI e altri istituti di credito occidentali) stanno mettendo a rischio i sistemi democratici e capitalistici che l'Occidente vuole costruire nel paese.
A seguito della visita, nel novembre 2018, del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, i funzionari dell'Arabia Saudita hanno annunciato piani per 800 milioni di dollari in prestiti e aiuti alla Tunisia. L'impegno di sostegno economico è in linea con la propensione del governo saudita a sfruttare le iniezioni di capitale e i pacchetti di aiuti economici per rafforzare le alleanze strategiche con i paesi del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale. Si spera che i politici tunisini abbiano valutato bene l'impatto previsto di una maggiore cooperazione economica con l'Arabia Saudita contro le potenziali ramificazioni politiche derivanti da relazioni bilaterali più forti.
Nel settembre 2017 è stata approvata la legge di riconciliazione economica che ha garantito l'impunità ai dipendenti pubblici implicati nella corruzione sotto l'ex dittatore Ben Ali e così ha consentito loro di tornare a posizioni di potere.
È stato un altro duro colpo agli sforzi anti-corruzione la chiusura della commissione “Truth and Dignity”: un tribunale indipendente stabilito per legge nel 2013 per indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse dallo Stato tunisino e di fornire un risarcimento e la riabilitazione alle vittime.
In un sondaggio condotto nell'agosto 2017, prima della approvazione della legge sulla riconciliazione, circa il 90% dei tunisini ha detto di credere che la corruzione sia peggiorata dalla rivoluzione. D'altra parte, nello stesso sondaggio, i tunisini hanno valutato la disoccupazione, pur nel pressante problema economico, di gran lunga più importante della corruzione.
La disoccupazione è superiore al 15%. È allarmante il tasso di disoccupazione giovanile che supera il 35%, e soprattutto quella dei laureati.
La mancanza di miglioramento tangibile della vita quotidiana, sommata all'incapacità dei partiti di intraprendere iniziative politiche e sociali innovative, ha causato una divisione molto forte tra la popolazione e il mondo della politica. È aumentato vertiginosamente il disinteresse dei cittadini nei confronti dei processi politici. Per la gran parte della popolazione i due partiti di maggioranza, Ennahda e Nida Tounes, rappresentano un rifacimento dei vecchi attori politici.
Infatti dopo la grande partecipazione alle elezioni dell’Assemblea costituente nel 2011 e alle elezione politiche del 2014, l’affluenza si è ridotta a poco più del 33% nelle elezioni municipali del 2018, suggerendo un forte indebolimento della fiducia del pubblico nei confronti della democrazia.
La legislazione tunisina ha fatto passi importanti per il consolidamento dei diritti delle donne e dei detenuti, ma non è riuscita a stabilire le istituzioni chiave incaricate dalla costituzione per la protezione dei diritti umani, come la Corte costituzionale.
Le autorità hanno imposto arbitrariamente restrizioni di viaggio su centinaia di persone dopo lo stato di emergenza dichiarato nel novembre 2015. I civili hanno continuato a subire procedimenti nei tribunali militari per determinati reati. Le leggi che criminalizzano la sodomia hanno continuato a mandare in carcere uomini accusati di condotta omosessuale consensuale.
Durante la dittatura, le organizzazioni della società civile dovevano essere autorizzate dal Ministero dell’Interno. Così il Ministero esercitava un controllo rigoroso su di esse. La rivoluzione ha spazzato via le restrizioni. Il decreto numero 88 del 2011 post-rivoluzione ha segnato una chiara rottura con il passato distinguendosi come una delle leggi più favorevoli alle organizzazioni della società civile nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Così sono emerse più di 5000 associazioni, per giocare un ruolo cruciale nel plasmare sia il periodo di transizione che lo stato post-rivoluzione. Le pressioni della società civile hanno contribuito a convincere le autorità ad adottare una Costituzione con ampie protezioni dei diritti umani ed elezioni libere e giuste e democratiche. In effetti, quattro organizzazioni della società civile sono state internazionalmente riconosciute per il loro lavoro volto a preservare la transizione democratica: il Quartetto nazionale di dialogo tunisino ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2015 per il suo ruolo nell'organizzare negoziati e nel creare compromessi tra forze politiche opposte.
Tuttavia, oggi si rischia di vanificare questo grande risultato. Infatti nel 2018 il parlamento tunisino ha adottato una legge che stabilisce il registro nazionale e impone alle organizzazioni della società civile di presentare una domanda di registrazione al registro nazionale, con informazioni dettagliate sul personale e le sue risorse etc. Il consiglio del registro nazionale ha ampia discrezionalità per approvare o rifiutare la registrazione. Inoltre, in mancanza della registrazione, la legge sottopone le OSC a pene severe, compresa la reclusione fino a un anno e una multa di circa 4.000 euro.
Nondimeno, le organizzazioni della società civile continuano a incontrare ostacoli nelle loro operazioni e attività quotidiane. Il diritto di riunirsi o protestare pacificamente rimane governato da una legge estremamente restrittiva del 1969 che conferisce agli ufficiali un'ampia discrezionalità per sopprimere le assemblee pubbliche. Inoltre, la Tunisia è stata sottoposta a un continuo stato di emergenza dal 25 novembre 2015, che consente ulteriori limitazioni alle libertà civiche delle persone e delle organizzazioni. Tra le altre cose, la legge di emergenza autorizza i funzionari a imporre il coprifuoco e a vietare le proteste pubbliche senza un ordine del tribunale.
Farshid Nourai